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Stop a: limitazione della frequenza delle giocate a una ogni 30 secondi, l’obbligo di distanza minima di due metri tra gli apparecchi, la pausa obbligatoria di cinque minuti ogni 30 minuti di gioco e il divieto assoluto di fumo nelle sale da gioco
Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello presentato da una delle principali società operanti nel settore del gioco pubblico contro la sentenza del Tar Lazio sulla circolare della Regione Lazio n. 32218 dell’11 gennaio 2023 in materia di apparecchi da intrattenimento.
La circolare della Regione Lazio ha imposto diverse restrizioni alle sale da gioco, giustificandole con esigenze di tutela della salute pubblica.
Tra le principali disposizioni, vi è la riduzione della frequenza delle giocate, che non possono avvenire a intervalli inferiori a 30 secondi, richiedendo così modifiche tecniche ai dispositivi di gioco.
Inoltre, stabilisce che tra un apparecchio e l’altro dovesse esserci una distanza minima di due metri, limitando così il numero di dispositivi installabili in ogni sala. Introduce anche l’obbligo di interruzioni forzate del gioco per cinque minuti ogni mezz’ora di attività continuativa. Infine, prevede un divieto assoluto di fumo all’interno delle sale da gioco, senza possibilità di prevedere spazi riservati per i fumatori, nemmeno in presenza di impianti di aspirazione dell’aria.
La Regione ha giustificato la circolare con finalità di carattere socio-sanitario, sostenendo che le restrizioni imposte non incidono sulle impostazioni dei software di gioco e rientrano nella sua sfera di competenza legislativa concorrente. Tuttavia, l’appellante ha evidenziato come le prescrizioni regionali vadano ben oltre i limiti fissati dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza amministrativa, sconfinando nelle competenze statali.
Nel pronunciarsi sulla questione, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondate le censure della società ricorrente, che ha sottolineato come “la Regione Lazio, attraverso la circolare impugnata, abbia ecceduto i limiti della propria competenza normativa, introducendo prescrizioni che impattano direttamente sulle modalità di esercizio del gioco pubblico, materia riservata alla legislazione statale e al regolatore di settore”. Il giudice ha inoltre evidenziato che “le misure imposte, senza un’adeguata giustificazione, risultano potenzialmente lesive della libertà di impresa, in assenza di una valutazione approfondita delle loro conseguenze economiche e gestionali”.
Nel giudizio si è costituita ad adiuvandum la SAPAR – Associazione Nazionale Servizi Apparecchi per Pubbliche Attrazioni Ricreative – difesa dall’avvocato Generoso Bloise, che ha sostenuto le ragioni della società appellante sottolineando le gravi conseguenze economiche e organizzative derivanti dall’applicazione della circolare regionale. L’associazione ha evidenziato che le misure imposte avrebbero comportato una drastica riduzione del numero di apparecchi installabili nelle sale e un significativo calo dei ricavi, mettendo a rischio la sostenibilità economica delle imprese del settore. Anche l’ACADI – Associazione Concessionari di Giochi Pubblici è intervenuta in giudizio a sostegno dell’appellante
Un altro aspetto sottolineato dal Consiglio di Stato riguarda la mancanza di una motivazione adeguata da parte del TAR del Lazio nella sentenza di primo grado. Il giudice amministrativo non aveva infatti spiegato le ragioni specifiche per cui le restrizioni imposte dalla Regione sarebbero conformi ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, limitandosi a richiamare principi astratti senza affrontare il merito delle questioni sollevate. “Dall’esame della sentenza impugnata non vi è alcuna considerazione specifica sulle ragioni che giustifichino e legittimino le prescrizioni impartite con la l.r. n. 5/2013 nella versione novellata, confermate dalla circolare, in tema di frequenza di non più di una partita ogni 30 secondi, di distanziamento di almeno 2 mt lineari tra un apparecchio e l’altro, nonché tra gli apparecchi e le altre attività svolte negli esercizi commerciali promiscui, di pausa obbligatoria nel corso delle attività di gioco di 5 minuti ogni 30 minuti di ininterrotta attività ludica, di divieto di fumo, se inteso nel senso che nelle sale da gioco non è possibile riservare spazi per fumatori dotati di apparecchi di aspirazione, come avviene per gli latri esercizi commerciali.
Né viene data alcuna spiegazione alle ragioni sottese alla declaratoria di infondatezza delle censure articolate per evidenziare le differenziazioni delle regole del gioco pubblico introdotte su base territoriale dalla circolare impugnata e della argomentata contrarietà con la normativa nazionale che costruisce un’offerta di gioco standardizzata ed identica sull’intero territorio nazionale.
A fronte di una serie di censure circostanziate e supportate anche da evidenze istruttorie, come ad esempio la dedotta riduzione degli apparecchi presenti nei locali, il decremento di 2/3 dei ricavi degli operatori, le problematiche correlate allo spostamento degli apparecchi eccedenti nei magazzini e la decadenza dell’autorizzazione nel caso di mancata raccolta delle giocate per oltre 90 giorni quali conseguenze della prescrizione del distanziamento di 2 mt. tra un apparecchio e l’altro all’interno dell’esercizio commerciale, la sentenza impugnata non reca alcuna motivazione specifica limitandosi a richiamare i principi astratti della ragionevolezza e della proporzionalità”, si legge nella sentenza, che evidenzia come il TAR abbia omesso di valutare le evidenze istruttorie presentate dagli appellanti, tra cui la riduzione degli apparecchi disponibili nelle sale, il calo dei ricavi fino a due terzi e le difficoltà logistiche legate allo spostamento degli apparecchi in eccesso nei magazzini.
L’assenza di un’argomentazione solida a supporto delle disposizioni regionali è risultata determinante nella decisione del Consiglio di Stato, che ha annullato la sentenza di primo grado e disposto la rimessione della causa al TAR per una nuova valutazione.
“A fronte di una serie di censure circostanziate e supportate da evidenze, la sentenza impugnata non reca alcuna motivazione specifica”, ha ribadito il Consiglio, sottolineando la necessità che eventuali regolamentazioni locali non si sovrappongano alle competenze statali e non introducano limitazioni ingiustificate all’attività imprenditoriale.