Nelle conclusioni presentate alla Corte di giustizia europea, l’avvocata generale Laila Medina evidenzia l’incompatibilità dell’attuale impianto normativo della proroga tecnica del bingo con i principi del trattato Ue.
Scritto da Redazione
Mattinata di udienza alla Corte di giustizia europea con al centro l’esame delle cause che vertono su tre domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Consiglio di Stato alla Corte di giustizia europea sulla compatibilità con il diritto dell’Unione – principalmente con la direttiva 2014/23 (2), la direttiva 89/665 (3) e l’articolo 49 Tfue – di talune caratteristiche del regime di “proroga tecnica” applicabile in Italia alle concessioni aggiudicate per le attività di gioco del Bingo una volta scadute.
Sono già disponibili le conclusioni dell’avvocata generale Laila Medina, presentate oggi, 4 luglio, che in sostanza sembra ritenere fondati i dubbi di conformità delle norme nazionali con la normativa europea, in particolare, con la direttiva sulle concessioni e con le norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che prevedono la libertà di stabilimento e alla libertà di prestazione dei servizi.
LE CONCLUSIONI DELL’AVVOCATA GENERALE – L’avvocata Medina propone alla Corte di giustizia europea di rispondere alle questioni sollevate dal Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini.
“Per quanto riguarda le cause C 728/22 e C 729/22: 1) La direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione deve essere interpretata nel senso che essa si applica a concessioni di servizi, come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, che sono state aggiudicate prima dell’entrata in vigore di detta direttiva e che, una volta scadute, sono state reiteratamente prorogate per via legislativa dopo tale entrata in vigore, purché le condizioni dell’aggiudicazione iniziale siano state modificate in modo sostanziale, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.
2) L’articolo 43, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2014/23 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che prevede l’obbligo di pagare un canone mensile non contemplato nell’aggiudicazione iniziale, nei limiti in cui essa modifica i parametri economici di base delle concessioni di cui trattasi, ad esempio fissando una misura identica di tale canone per tutti gli operatori del settore, indipendentemente dalla loro capacità finanziaria, e aumentando sensibilmente la misura di detto canone a partire dalla sua prima imposizione. Entrambe le disposizioni ostano parimenti a tale normativa nella misura in cui il pagamento di detto canone rappresenta una condizione per la partecipazione a una futura procedura di gara ai fini della riattribuzione delle concessioni di cui trattasi.
Nell’ipotesi in cui la Corte non condividesse la conclusione di cui al punto 2), propongo allora la seguente risposta aggiuntiva: 3) l’articolo 43, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2014/23 deve essere interpretato nel senso che esso osta a un’interpretazione della normativa nazionale che privi un’amministrazione aggiudicatrice del potere discrezionale di valutare se eventi imprevedibili non imputabili ai concessionari giustifichino una riconsiderazione delle condizioni di una concessione.
4) La direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori deve essere interpretata nel senso che essa non costituisce una base giuridica che consente di mettere in discussione la legittimità di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che subordina la partecipazione a una futura gara all’adesione a un regime di «proroga tecnica».
Qualora la Corte non condividesse la conclusione di cui al punto 1), almeno parzialmente, propongo allora la seguente risposta aggiuntiva:5) l’articolo 49 Tfue deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che impone al concessionario di accettare le condizioni fissate da tale normativa, ossia l’obbligo di pagamento di un canone mensile non previsto nell’aggiudicazione iniziale delle concessioni per poter partecipare a una nuova gara per la riattribuzione di nuove concessioni. Esso osta altresì a un’interpretazione della normativa nazionale che privi un’amministrazione aggiudicatrice del potere discrezionale di valutare se eventi imprevedibili non imputabili ai concessionari e idonei a incidere sull’equilibrio economico finanziario delle concessioni giustifichino una riconsiderazione delle condizioni di una concessione.
Inoltre, per quanto riguarda la sola causa C 730/22: 6) l’articolo 43, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2014/23 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che prevede l’obbligo di pagare un canone mensile non contemplato nell’aggiudicazione iniziale, nei limiti in cui essa modifica i parametri economici di base delle concessioni di cui trattasi, ad esempio fissando una misura identica di tale canone per tutti gli operatori del settore, indipendentemente dalla loro capacità finanziaria, e aumentando sensibilmente la misura di detto canone a partire dalla sua prima imposizione. Entrambe le disposizioni ostano parimenti a tale normativa nella misura in cui il pagamento di detto canone rappresenta una condizione per la partecipazione a una futura procedura di gara ai fini della riattribuzione delle concessioni di cui trattasi.
Qualora la Corte non condividesse la conclusione di cui al punto 1), almeno parzialmente, propongo allora la seguente risposta aggiuntiva: 7) l’articolo 49 Tfue deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che impone al concessionario di accettare le condizioni fissate da tale normativa, ossia l’obbligo di pagamento di un canone mensile non previsto nell’aggiudicazione iniziale delle concessioni per poter partecipare a una nuova gara per la riattribuzione di nuove concessioni. Esso osta altresì a un’interpretazione della normativa nazionale che privi un’amministrazione aggiudicatrice del potere discrezionale di valutare se eventi imprevedibili non imputabili ai concessionari e idonei a incidere sull’equilibrio economico finanziario delle concessioni giustifichino una riconsiderazione delle condizioni di una concessione.”
IL COMMENTO DELL’AVVOCATO GIACOBBE – Pronto il commento di Luca Giacobbe, legale di Ascob – Associazioni concessionari del bingo e di 36 concessionari del bingo. “La prudenza non è mai troppa e ora attendiamo con ottimismo la decisione della Corte. Dalla lettura delle conclusioni dell’avvocatura è di immediata evidenza che le nostre deduzioni sono state particolarmente apprezzate riguardo l’incompatibilità dell’attuale impianto normativo della proroga tecnica del bingo ai principi del trattato Ue.
Due punti della memoria sono particolarmente rilevanti: in primis l’avvocatura censura il fatto che il canone mensile non fosse contemplato nell’aggiudicazione iniziale e questo ha comportato una modifica sostanziale dei parametri economici di base delle concessioni. Questa considerazione potrebbe essere valida e potrebbe avere un impatto significativo anche su altre concessioni giochi ora in proroga. Il secondo elemento ben valorizzato dall’Avvocatura riguarda il fatto che l’attuale normativa non consente all’Agenzia delle dogane e dei monopoli di variare il canone mensile anche nel caso di fatti sopravvenuti (vedi Covid) non imputabili ai concessionari.”
Non resta dunque che attendere la decisione della Cgue.