Il Corriere di Bologna parla di una storia triste, come tante, una storia di dipendenza, disperazione e gioco d’azzardo. E’ la storia di Paolo, 73 anni che da tempo mette a disposizione la sua storia per aiutare chi come lui è ludopatico. “Le dipendenze sono mostri, la mia è particolare perché non si vede; il dipendente da gioco d’azzardo non lo vedi, fisicamente non cambia nulla, ma cambia tutto dentro” Si racconta nell’aula magna dell’ospedale Maggiore, in occasione della presentazione del 25° Rapporto sulle Dipendenze, a cura dell’Osservatorio Epidemiologico Metropolitano Dipendenze patologiche. Secondo i dati, dopo il calo del periodo segnato dal Covid, nel 2022 è aumentato il numero di persone prese in carico dai Serd (i Servizi per le Dipendenze): 224 rispetto alle 197 del 2021, diminuisce l’età media e aumenta la quota di lavoratori e utenti con un livello di istruzione medio-alto.
“Ho interrotto la mia prima vita il 10 giugno 1973, a 23 anni, il giorno indimenticabile della prima giocata inconsapevole; poi ho abitato all’inferno per 36 anni” si confida Paolo. E ancora: “Quel 10 giugno mi è arrivata addosso un’emozione, una scarica incredibile, che non è mai successa dopo, neanche con la nascita dei figli – ammette con lucidità e amarezza – In quei 36 anni io ho distrutto tutto; avevo un’azienda con 22 lavoratori e ho buttato tutto nel gioco d’azzardo”. “Una dipendenza subdola, con la quale ha convissuto senza mai confessare: «Sono stato beccato, casualmente. Avrei potuto vincere 36 Oscar come miglior attore, nessuno si è mai accorto di quello che facevo o non ha voluto accorgersene. Del resto, non avevo problemi economici”. Come la data del baratro, Paolo ha impressa quella verso la rinascita. “La mia ultima giocata è stata il 22 maggio 2009. Dal 23 maggio non ho mai più giocato un euro e sono “sobrio” da quasi 14 anni. Se tutto va bene, il prossimo 23 maggio, sarà il mio quattordicesimo compleanno e lo festeggerò con il gruppo di mutuo aiuto, è la cosa più bella”. C’è un altro grande amore, oltre a quello dell’azzardo per un giocatore compulsivo: la solitudine. “Io ho cercato di essere solo e di restare solo. Quando, invece, si va al gruppo si sceglie di non voler essere più soli e si cerca aiuto”. Paolo è stato spinto dalla moglie a rivolgersi ai servizi: “La cosa più importante era sapere che davanti a me c’era qualcuno a cui interessavo. Ho trovato una dottoressa che ha capito tutto e io ho capito che lei voleva davvero aiutarmi”. Adesso il mantra di Paolo è “Insieme si può”, così ha scelto di mettersi a servizio di tutti coloro che con il ‘mostro’ dell’azzardo continuano a viverci.
