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Divieto di pubblicità al gioco ed aumento della tassazione

L’Esecutivo Giallo-Verde, evidentemente, ha deciso di “tirare diritto” e di passare sopra quello che rimane del mondo del gioco e delle sue attività: quelle che sono riuscite, e che stanno riuscendo, a sopravvivere dopo i vari “terremoti” che stanno investendo il settore ludico, ivi compreso il divieto di pubblicità ai giochi. Ci si riferisce, particolarmente, a quelle non terrestri, che possono invece usufruire della presenza “su strada” per farsi pubblicità, e quindi di quelle online che non hanno altro sistema se non quello pubblicitario per far conoscere i propri servizi, le proprie offerte, i propri bonus. Quindi, non solo il Decreto Dignità ha dato un “calcio notevole alle fondamenta” di una buona parte di imprese di gioco, ma ora ci “mette il carico da 90” programmando anche una tassazione in aggiunta alle defezioni economiche che il gioco sta affrontando, non si capisce ancora come.

E non si riesce neppure a capire se questa sia la strategia del nuovo Governo: quella di mettere allo sbando tutto il mondo dei giochi che si vedrà costretto a “morire di propria morte lenta e dolorosa” e non potrà più fare nulla per incentivare i propri introiti, fare programmi economici per il proprio futuro e neppure programmi commerciali poiché talune aziende in particolari territori, non si sa bene dove potranno andare a finire. Ma l’opera contro il gioco è iniziata, purtroppo, e si è appunto aperta con l’ouverture del divieto alla pubblicità, proseguendo con la tassazione ulteriore che probabilmente è quasi passata inosservata in relazione al “terremoto” provocato dal Decreto Dignità.

Onestamente, ciò che sta accadendo al gioco è inverosimile: una ulteriore tassa su di un settore già penalizzato e questo avviene senza un minimo di analisi economica delle conseguenze per la filiera del gioco ed anche per l’Erario. Queste politiche sul gioco messe in campo dal Governo Giallo-Verde non sembrano equilibrate, ma sopratutto non vi è stato alcun contraddittorio e nessun tavolo di confronto per arrivare così velocemente alla decisione di emettere un decreto di divieto che metterà quasi definitivamente in ginocchio il comparto online, ma che intaccherà, senza ombra di dubbio, anche quello terrestre. A questo punto, per far comprendere la gravità della situazione ludica si vogliono fare due cifre anche se “i freddi e nudi numeri” non “ci piace” commentarli: ma in questo caso sembra doveroso, anche se banale, ricordare come si distribuisce il valore delle giocate tra i diretti protagonisti del gioco.

Su 100 euro giocati, 70 euro tornano al giocatore come vincita (e questo è un dato rilevato dal sistema di controllo alla fine di ogni ciclo). 20,3 euro vanno per la fiscalità allo Stato, con la nuova aliquota del 19,5%, e per canone di concessione ed i restanti 9,7 euro costituiscono il ricavo lordo della filiera, al quale vanno detratti i costi in misura diversa in relazione al ruolo che viene ricoperto all’interno della filiera. Filiera che, oggi, è costituita da 12 concessionari, dai quattromila circa gestori e dai titolari di esercizi ove gli apparecchi vengono “ospitati” che più o meno sono 70mila. Esiste, poi, un numero di imprese che produce apparecchi ed il relativo indotto che copre numerose altre attività, imprese solide e conosciute al fisco, poiché pagano regolarmente le tasse, ed alle Autorità di controllo.

Per tutti questi dati “nudi e crudi” sembra inverosimile che alla base di un intervento politico non vi sia stato un minimo di conoscenza della consistenza economica del settore su cui si incide, del contributo che le stesse imprese forniscono al Pil, del costo per i cittadini dello spostamento verso le “zone d’ombra” della società?

A queste imprese “virtuose e riserva di Stato” viene sottoposta una conversione generica, senza alcuna idea di cosa questo possa significare, mentre si sa perfettamente cosa significa per le imprese essere soggette ad una politica fiscale come quella che si sta mettendo in atto e che impedisce alle stesse “di sopravvivere”: neppure di guadagnare ma solo ”stare in vita commercialmente”. Si sta facendo largo nella mente di chi ama il gioco e le sue imprese, che l’obbiettivo finale è esattamente quello di “distruggere il settore, perché il gioco fa male” e qui, purtroppo, si ritorna all’idea iniziale che una parte dello schieramento politico che è arrivato al Governo ha sempre pensato del gioco. “Il gioco fa male”: quante volte in campagna elettorale si è sentito questo ritornello da parte del Movimento Cinque Stelle e dei suoi “seguaci”?

Ora, quindi, che si detiene il potere di poter proseguire nel mettere in pratica i propri convincimenti, eccoci al Decreto Dignità ed alla ulteriore tassazione senza peraltro confrontarsi, magari togliendo di mezzo pregiudizi ed integralismi poiché, come tanti altri aspetti del “vivere civile”, anche il gioco ha una sua unità di misura che ne definisce la propria sostenibilità. Ma questo è mancato. Come è anche mancato confrontarsi con la scelta del Governo in carica nel 2002, quello che ha portato alla regolamentazione dei giochi nel modo più rigoroso ed invidiato dalle Amministrazioni degli Stati esteri. Ma oggi, qui sul nostro italico territorio, ancora esiste una visionale “quasi demoniaca” del gioco e della realtà che lo circonda: uscire da questo impasse non sarà semplice. Ed intanto cosa faranno le imprese che di gioco vivevano e che vorrebbero continuare a viverne?

L Redazione

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