Il Tribunale è stato chiamato a pronunciarsi su un caso riferibile all’operatore Goldbet, il cui preposto era rappresentato dall’avv.Marco Ripamonti, storico difensore dei centri collegati al bookmaker austriaco. In esordio di motivazione il tribunale così preliminarmente afferma: “Tanto premesso e specificato, ribadito che la questione è pregiudiziale anche per il presente caso – atteso che la Goldbet, pur avendo partecipato alla gara, non è risultata assegnataria, sicchè analogamente alla Stanleybet è priva di qualsivoglia concessione governativa – sul punto si deve osservare quanto segue.”
Goldbet e Stanley quindi, nuovamente equiparate rispetto alla gara Monti per il fatto che, a prescindere dalla scelta di partecipare o meno alla gara, si siano trovate a non essersi aggiudicate neanche una concessione. Diversamente, argomentando da ciò, non si potrebbe invocare per il tribunale l’applicazione della sentenza Laezza, a prescindere dai principi teorici espressi dalla Corte di Giustizia nelle diverse Ordinanze rese in ordine ad una serie indiscriminata di casi.
Posto tale caposaldo, il Tribunale passa poi ad esaminare tutti gli aspetti discriminatori della clausola relativa alla cessione a titolo non oneroso dei beni affermando come tale previsione non sia stata imposta ai precedenti concessionari e non presenti diretta attinenza con gli obiettivi prefissati nell’art.1, comma 77 Legge 220/2010 (tutela dei consumatori, in particolari minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi). Sempre secondo il tribunale non si può affermare che tale scelta possa essere considerata proporzionata all’obiettivo di garantire la continuità dell’attività autorizzata di raccolta delle scommesse, quando al medesimo fine sarebbe bastato prevedere la cessione forzosa di tutti i beni materiali ed immateriali dei concessionari alla pubblica amministrazione a titolo oneroso e a prezzi di mercato.
Nè a fronte di ciò, soggiunge il Tribunale, varrebbe richiamare quale elemento di riequilibrio il prezzo a base d’asta o l’importo delle cauzioni rispetto alle gare passate, dal momento che tali elementi più favorevoli sembrano agevolmente configurarsi come logica conseguenza della ridotta durata delle concessioni odierne. Chiude l’argomento il Tribunale osservando come tale disparità si ponga in contrasto con il principio di equivalenza enunciato dalla Corte di Giustizia con la Sentenza Costa Cifone, senza voler perseguire l’obiettivo enunciato per legge di assicurare un corretto equilibrio degli interessi pubblici e privati nell’ambito dell’organizzazione e della gestione dei giochi pubblici e violando in modo incoerente l’art.10 comma 9 octies lettere d) ed e) del D.L 16/12 nella parte in cui il Legislatore aveva prescritto che il contenuto della convenzione da stipularsi tra l’Amministrazione e i concessionari avrebbe dovuto essere “coerente con ogni altro principio stabilito dalla citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 16 febbraio 2012”.
La motivazione si conclude riconoscendo la necessità di disapplicazione della norma penale, avendo l’imputata collaborato con un operatore che non si era aggiudicato alcuna concessione con la partecipazione al bando Monti.
Una pronuncia, quindi, che potrebbe essere ritenuta una sorta di interpretazione autentica del giudice che ha rimesso la questione pregiudiziale alla Corte Ce e che va a rimarcare un noto principio espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui al di là della teorica ed astratta incompatibilità comunitaria del Bando, occorre poi valutare attentamente la posizione dell’operatore di riferimento e se lo stesso sia stato effettivamente ed in concreto discriminato.
Riceviamo (Jamma)
Lo Staff: CifoneNews