Se la nostra politica, con l’andare degli anni, ha intrapreso un atteggiamento ed un determinato percorso “disfattista” nei confronti di un particolare segmento del gioco, quello delle apparecchiature da intrattenimento, il gioco deve invece rispondere compatto, “come un sol uomo” e portare avanti tutto ciò che rappresenta, senza distinzione di comparti. Il gioco è tutto uguale, sano e puro divertimento ed intrattenimento e, come tale, dovrebbe essere trattato, senza alcuna distinzione. Quando l’accordo sottoscritto in Conferenza Unificata ha colpito solo una parte di esso, non ci si è trovati d’accordo in quanto, ormai, tanti studi hanno confermato che non è solo il segmento degli apparecchi con vincita in danaro che porta derive di dipendenza: persino il più apparentemente tranquillo Gratta e Vinci coinvolge molto di più delle famigerate macchinette.
E di queste ricerche e studi non è che non se ne possa tenere conto poiché determinano quello che interessa i giocatori, e nello specifico, la parte più influenzabile della nostra attuale società, i giovani. Ecco, quindi, che quando si vieta qualcosa senza argomenti scientifici che vadano a supporto di decisioni, ordinanze o restrizioni che siano, significa che “tutti sono in pericolo”, in balìa di normative che non dovrebbero essere emesse. Voltarsi da una altra parte, e fare finta che nulla sia successo solo perché un divieto non colpisce il settore dove ci si trova ad esercitare, significa proprio non aver compreso quello che da tre anni il gioco continua a denunciare: l’intero “sistema gioco lecito”, globalmente, è sotto attacco e messo in discussione, nonostante “il sistema” agisca a nome e per conto dello stesso Stato che rilascia concessioni ad operare e sottoporre offerte di un prodotto legale di sua proprietà.
E poco importa, evidentemente, che dinanzi ad ordinanze più o meno bene istruite, e quindi anche “incostituzionali”, le imprese di gioco non si siano mai tirate indietro nel dichiararsi disponibili a condividere progetti di riforma indirizzati a tutelare il sistema gioco lecito nella sua interezza. Alcune dichiarazioni fatte da aziende del settore negli scorsi giorni non aiutano il settore ludico e le sue imprese e devono essere “disconosciute” dall’intero mondo del gioco legale e non vi devono trovare assolutamente “cittadinanza”. Quello che i giochi devono continuare a perseguire è la salvaguardia dell’intero sistema gioco lecito, senza alcuna distinzione né tra segmenti, né tra prodotti: qualsiasi dichiarazione rilasciata per mettere in discussione questo preciso principio va a cozzare contro ciò che succede al gioco.
Non bisogna continuare con dichiarazioni improprie e scriteriate per dividere il settore proprio in un momento in cui non serve essere divisi: l’unico obbiettivo che si raggiunge è di perdere la credibilità necessaria per avviare un confronto che sia costruttivo e porti a risultati concreti e realizzabili con il nuovo Governo. É inutile che per cercare di “salvare” dalle ire restrittive alcuni prodotti “si getti la croce” addosso ad altri segmenti di gioco. Bisogna cambiare atteggiamento e non guardare soltanto al “proprio orticello”, ma sopratutto bisogna mettere al centro dei nostri programmi il concetto della “difesa della legalità e la difesa dell’occupazione” ed il concetto di interesse ad uno “sviluppo sostenibile” per il giocatore.
Se il gioco cambierà modo di essere nei suoi stretti rapporti tra segmenti, probabilmente, cambierà anche qualcosa là fuori ed anche il modo di interpretare il gioco: il gioco deve imparare ad usare “il noi” nel modo di agire e deve abbandonare “l’io”. Sembra sin troppo chiaro che se il gioco dimostrerà di essere “unito”, e di riuscire a superare i propri “conflitti interni”, si potrà giungere a rispondere al grande interrogativo che tutti si stanno ponendo in questo momento, e cioè se questo neo Governo sarà capace di “invertire la rotta” rispetto a quanto è stato fatto dai territori sul problema del gioco problematico.
Ma l’equazione che è stata messa in campo sino a questo momento si può leggere così: tolgo il gioco dalla circolazione sui territori, e sparisce il gioco problematico. Tutto ciò che è seguito a questa equazione (chiaramente sbagliata) è stato il solo susseguirsi di ordinanze restrittive, mezzi di contenimento, come il distanziometro, e fasce orarie sempre più ridicole che hanno messo in condizione tantissime imprese di chiudere la propria attività, con tutte le conseguenze del caso. In pratica, si è arrivati alla quasi distruzione di un settore assunto ad essere una delle “colonne portanti dell’economia del nostro Paese” nella convinzione (scriteriata) che scomparendo il gioco, come per incanto, i giocatori problematici si sarebbero ravveduti.
Invece, si sta assistendo soltanto alla chiusura delle imprese che di gioco vivono: e per fare un esempio pratico basti guardare al distanziometro da tanti indicato come efficace strumento per debellare il gioco problematico. La realtà di ciò che questo “meraviglioso strumento” ha ottenuto è stata soltanto la chiusura di parecchie aziende di gioco lecito e di essere assolutamente inefficace per “combattere il gioco problematico”: a 499 metri si gioca con tutti i prodotti diversi dagli apparecchi di gioco. A 501 metri l’offerta diventa libera, ma “ghettizza” i giocatori in quartieri “Las Vegas”: si è preferito propendere per non qualificare il punto vendita con uno strumento moralistico, ideologico ed assolutamente inefficace rispetto agli obbiettivi che si prefigge di raggiungere.
E le limitazioni orarie, poi! Il frazionamento del gioco è solo efficace sempre per far chiudere le imprese: il giocatore nel periodo di spegnimento, gioca ugualmente con quei prodotti che non subiscono le limitazioni, oltre che ovviamente con prodotti illeciti largamente disponibili sul mercato, generando forse un senso di compulsività e di ansia quando si avvicina il termine dello “spegnimento”, estremizzando la velocità di gioco per timore “di non fare tempo a vincere”… Ad oggi, in ogni caso, non è dato sapere se vi siano studi o verifiche da parte dei territori che abbiano come obbiettivo quello di verificare se queste “miracolose strategie” messe in campo dagli Enti Locali abbiano ottenuto il benché minimo risultato positivo.
La Redazione