L’8 marzo non è la festa della donna, ma la Giornata internazionale per i diritti della donna. E’ la giornata in cui si ricordano l’importanza dei diritti delle donne e le conquiste sociali, politiche ed economiche ottenute, in cui si richiama anche l’attenzione sulle disuguaglianze di genere ancora esistenti, sugli stereotipi e le discriminazioni, sulla violenza, sui femminicidi sempre più in crescita. In realtà fu celebrata per la prima volta il 28 febbraio 1909 negli Stati Uniti su iniziativa del Partito socialista americano. Erano anni di grande fermento negli ambienti femminili, in cui l’oppressione e la disuguaglianza stavano spingendo le donne a diventare più esplicite e attive nella campagna per il cambiamento: l’anno prima, nel 1908, 15mila donne avevano marciato per New York chiedendo orari di lavoro ridotti, una paga migliore e, soprattutto, diritto di voto.
In Italia fino agli anni Settanta quella dell’8 marzo è sempre stata considerata una festa di sinistra, strettamente legata al partito socialista e al partito comunista: per questa ragione durante i vent’anni di regime fascista la festa della donna non fu mai celebrata. Nel 1946, appena finita la guerra, si festeggiò la Giornata internazionale della donna per la prima volta. L’Italia è tra l’altro uno dei pochissimi paesi in cui c’è l’usanza di regalare la mimosa, un fiore diffuso proprio in questo periodo e particolarmente caro agli ambienti partigiani.
Negli ultimi anni l’8 marzo ha perso la connotazione celebrativa che aveva avuto per molto tempo e ha recuperato il suo senso politico. In decine di paesi del mondo i movimenti femministi organizzano uno sciopero sociale e politico, e non solo uno sciopero dal lavoro classicamente inteso: un’astensione da ogni attività anche di cura, formale o informale, gratuita o retribuita, uno sciopero dal consumo, dai ruoli imposti dagli stereotipi di genere, contro la violenza maschile e contro tutte le forme di violenza di genere. La mobilitazione di quest’anno è organizzata dal movimento femminista NonUnaDiMeno, che invita allo sciopero dal lavoro e dal ruolo imposto alla donna dalla società.
Intanto il numero delle donne uccise da uomini fa orrore: sono 120 nel 2023. E da gennaio a oggi ci sono state altre 20 vittime. In 64 casi, più della metà, l’assassino era il marito, il fidanzato, il compagno o l’ex. . Donne uccise perché donne.
Sono numeri che emergono dal report “8 marzo. Giornata internazionale dei diritti della donna. Donne vittime di violenza”, realizzato dal Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale, Ufficio a composizione interforze del Dipartimento della pubblica sicurezza. Che evidenzia anche come in circa un quarto dei casi le uccisioni di donne si collocano nel quadro del rapporto genitori/figli. A uccidere le madri sono stati nell’89% degli episodi i figli maschi.
Nel giorno in cui si festeggia la donna arriva un’intervista su La Repubblica a Gino Cecchettin, padre di Giulia, uccisa l’11 novembre a 22 anni. Una confessione coraggiosa e amara dove affronta varie tematiche e non solo quelle relative al suo dramma personale. Cecchettin si domanda ancora come si poteva evitare l’omicidio di Giulia. “Continuamente, te lo chiedi. Ma a me stesso, prima: cosa potevo fare. E dopo allo Stato, alla sicurezza. Io potevo parlare di più con lei. Scavare, magari non dare tanta libertà a una ragazza che pure era responsabile, coscienziosa come lei”.
In riferimento al lavoro delle forze dell’ordine il padre di Giulia ringrazia per il lavoro svolto, ma pensa che “se davvero vogliamo cambiare le cose, se la battaglia contro i femminicidi e la violenza di genere la dobbiamo fare insieme, dobbiamo anche investire. Di più. Sulla vigilanza, sui territori. Dobbiamo avere pattuglie in più, donne e uomini in più. Non posso dimenticare che mentre denunciavo, mentre giustamente ripetevo una due dieci volte le cose, tutto si era già compiuto”.
La Redazione