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Le donne e il gioco: storia di un amore malato.

Le vedi ai tavoli del Bingo con lo sguardo incollato sulla cartellina. Le senti invocare a bassa voce sempre lo stesso numero davanti allo schermo del Lotto. Le osservi ipnotizzate di fronte alle slot machine, con figli o nipoti che aspettano ai piedi dello sgabello. Le incontri e inconsciamente le giudichi. Perché in Italia è ancora viva la “bugia sull’azzardo”: un vizio concesso agli uomini e stigmatizzato nelle donne. Ma il gioco non è un vizio, è una malattia. E colpisce senza distinzione di sesso con la stessa forza distruttiva. Hanno in media 50 anni, sono mogli e madri. Non scommettono per vincere, ma per sfuggire alle difficoltà quotidiane. Spesso finiscono nelle mani degli strozzini, per vergogna non chiedono aiuto. E il peso dei debiti ricade sui figli. Quello del gioco inizia come diversivo, poi diventa amore, amore malato, ossessivo, asfissiante. Su di loro incombe il peso dei debiti e il macigno del giudizio sociale. “Anche se sono in numero inferiore rispetto agli uomini, le donne giocano e spesso sviluppano problemi di dipendenza e in modo molto più rapido che negli uomini. problemi che sono anche più pesanti per varie ragioni, a partire dal fatto che è più difficile per loro ammetterlo ed è raro che si rivolgano a un servizio per le dipendenze. Più facilmente andranno in un consultorio familiare. Ma, soprattutto, di solito non sono disposte a parlare dei propri problemi davanti a un uomo, neanche se si tratta del terapeuta”. A spiegarlo è l’italiana Fulvia Prever, psicoterapeuta del servizio sanitario da 35 anni, coordinatrice di un gruppo di terapeute volontarie impegnate nell’assistenza alle donne con problemi di dipendenza da gioco, autrice del libro “Gambling disorders in women”. Oggi, 8 marzo, ‘Giornata internazionale della donna’, è l’occasione per festeggiare le tante conquiste socio-politiche, e per ricordare le violenze e le discriminazioni che la donna deve ancora fronteggiare in tutto il mondo. Ma è anche l’occasione per non dimenticare tutte quelle donne fagocitate da una vita poco appagante, dalla routine e dal peso di problemi socio-familiari che comunemente pesano sulle loro spalle. Quelle donne che cercano l’alternativa nel gioco, trovando spesso l’oblio.

“Il gioco diventa una stampella: è sempre a portata di mano, per iniziare basta 1 euro. A creare la dipendenza è la velocità: lo stimolo-risposta è molto rapido. Ci vogliono 2 secondi per raschiare la patina grigia del Gratta e vinci; ancora meno per vedersi comparire i 3 simboli uguali sulla slot machine. Tutte iniziano con l’obiettivo di estraniarsi dai problemi. Nessuna vuole vincere per arricchirsi ma per prolungare una situazione di “non-pensiero. Si cerca di anestetizzarsi dalla solitudine, da quei mariti che nella migliore delle ipotesi non le capiscono e nella peggiore le picchiano” scrive la Prever. Dal vizio del gioco, però, si può guarire. Nel 2013 l’American psychiatric association l’ha riconosciuto come malattia (Gap- Gioco d’azzardo patologico) e da quest’anno le cure sono state inserite nei nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza. Chi cerca aiuto può rivolgersi ai SerD, i servizi pubblici per le dipendenze, o ai centri privati convenzionati: secondo l’Istituto superiore di sanità, i pazienti presi in carico aumentano del 15-20% l’anno. Si interviene con colloqui individuali o terapie di gruppo. “Luoghi sicuri dove dare voce alla sofferenza e non sentirsi giudicate” conclude la psicologa Fulvia Fever. “Superate vergogna e paura, si ha la forza per iniziare un percorso di uscita dalla dipendenza”.

D. Pellegrino

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