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Paolo Rossi e quella brutta storia del ‘Totonero’.

E’ morto Paolo Rossi, per tutti ‘Pablito’, l’eroe del Mundial 1982 vinto dall’Italia. Fu il grande riscatto di Rossi che emozionato alzò la coppa del mondo e il pallone d’oro. Riscatto perchè il campione veniva fuori dal primo vero scandalo del calcio scommesse, noto come Totonero, che investì l’Italia a partire dal 1980. Un processo che vide coinvolti giocatori di Serie A e Serie B. Tra la rosa dei calciatori coinvolti c’era anche il nome di Paolo Rossi, accusato di aver concordato il pareggio nell’incontro tra Avellino e Perugia, nel quale firmò peraltro una doppietta. Un match giocato il 30 dicembre del 1979 e finito proprio in parità: 2 a 2. Venne squalificato dalla CAF per due anni, perdendo così anche la possibilità di partecipare con la nazionale all’imminente campionato d’Europa 1980 che si giocò in Italia. Rossi ricordò così questo evento (https://www.blunote.it/news/97720372742/paolo-rossi-il-totonero-la-squalifica-e-il-disgusto-per-il-calcio): “Non sapevo nulla delle scommesse: pensavo al classico pareggio accettato da due squadre che non vogliono farsi male. Seguii il processo come qualcosa di irreale, come se ci fosse un altro al posto mio. Capii che era tutto vero quando tornai a casa e vidi le facce dei miei“. Raccontò così la vicenda che lo fece condannare: “Dopo cena, mentre sto giocando la solita partita a tombola, tanto per ammazzare il tempo, mi si avvicina il mio compagno Della Martira: “Paolo, vuoi venire un attimo che ci sono due amici che vogliono conoscerti?”. Non sono capace di dire di no. Controvoglia affido le mie cartelle a Ceccarini e mi alzo. Nella hall vedo due tipi che non avevo mai visto, stringo loro la mano: “Piacere”. Non capisco cosa vogliano da me. Improvvisamente Mauro Della Martira dice: “Paolo, questo è un mio amico che gioca alle scommesse”. E l’amico dell’amico in spiccato accento romanesco: “Paolo, che fate domenica?”. Rispondo genericamente: “Beh, cerchiamo di vincere”. “E se invece pareggiate?”. Non capisco dove voglia andare a parare, sono imbarazzato anche se non lo do a vedere. Non vedo l’ora di liberarmi dall’impiccio». Un momento del primo processo sul Totonero che coinvolse il calcio italiano nel 1980; tra i giocatori imputati in aula, oltre a Rossi, si riconoscono Albertosi e Manfredonia. «Rispondo: “Il pareggio non è un risultato da buttare. L’Avellino ha un punto in meno di noi, ha vinto con la Juve e ha perso soltanto con il Torino”. “Sai, abbiamo un amico dall’altra parte che dice che un pareggio andrebbe più che bene”, aggiunge l’altro… “magari fai anche due gol”. La discussione non mi piace per nulla. Voglio tornare alla mia tombola, queste facce non mi ispirano fiducia, taglio corto: “Mauro, mi aspettano, ci vediamo, fai tu” giusto per non fargli fare brutta figura. E torno al mio posto e riprendo a giocare. Tutto è durato appena due minuti, quelli che diverranno i due minuti più angoscianti della mia carriera». Rossi pensò di lasciare il paese a seguito della squalifica: «Provavo disgusto per il calcio. Ho pensato di andar via dall’Italia, di smettere. Dissi: “Non mi vedrete più in nazionale”. Mi diedi all’abbigliamento sportivo, con Thoeni. Le cose peggiori? Il sospetto della gente, quegli sguardi… e le notti del sabato, sapendo che al risveglio non c’erano partite ad aspettarmi”.

Dopo quella brutta faccenda, il tecnico della Nazionale, Enzo Bearzot, non esitò neanche per un attimo: lo volle con sé a tutti i costi e lo convocò, tagliando fuori altri calciatori che, sulla carta, erano certamente più in forma di un attaccante che era rimasto lontano dal campo per due anni. Bearzot continuò a credere nel “suo” Paolo sempre e comunque, anche dopo le prestazioni non proprio eccellenti nelle prime tre partite. Ebbe ragione. Il resto è Storia.

D.P.

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