In una lunga intervista a VanityFair l’attore Alessio Vassallo racconta della sua dipendenza dal gioco d’azzardo. Palermitano trapiantato a Roma, 40 anni, di cui gli ultimi 20 trascorsi tra palcoscenico e set, Vassallo confessa “Credo di aver perso, al gioco, qualcosa come 50 mila euro. Soldi che avrei potuto dare ai miei genitori, che a volte fanno fatica a pagarsi una visita dal dentista. Il senso di colpa era enorme: avevo ansia, attacchi di panico, sudavo freddo, mi veniva la febbre. Ero persino diventato molto aggressivo, rispondevo male; la dipendenza aveva tirato fuori la mia anima più nera”.
Un racconto doloroso, di una vita come montagne russe tra alzate e ricadute. “Gioco dacché ne ho memoria: ho iniziato da bambino con Scala 40, in montagna con i miei. Quando poi ho cominciato a guadagnare, ogni tanto mi concedevo il lusso del casinò. Organizzavo spedizioni con i coinquilini: partivamo da Roma il pomeriggio, arrivavamo a Venezia, ci cambiavamo nel parcheggio, scommettevamo fino alle 4 e tornavamo a casa senza dormire. Poi, a mano a mano, quella che era una sporadica goliardata di gruppo è diventato un piacere solitario e ossessivo. L’online per me è stato fatale: se qualcosa andava storto, sul lavoro o con la fidanzata, mi rifugiavo al computer e giocavo. E più giocavo più tutto andava storto. Quando giravo Il giovane Montalbano, saltavo le cene con la troupe per chiudermi in casa e scommettere. Quando la mia compagna tornava a casa, tante volte, non avevo neanche voglia di fare l’amore: ero troppo intento a perdere soldi. Perché la cosa tremenda è questa: un vero giocatore non gioca per vincere, gioca per giocare sapendo di perdere. E io stavo perdendo tutto”.
Il primo grido di aiuto Alessio l’ha lanciato allo Stato, sospendendosi dai siti di scommesse legali di cui era diventato un habitué: “Peccato che bastasse mandare una mail per chiedere nuovamente l’ammissione. Mi sono bannato e re-iscritto mille volte”. La mossa successiva: confessare tutto alla compagna di allora. “Ma, per quanto lei provasse a controllarmi, sequestrandomi le carte di credito, avvisando i miei genitori, facendo scenate, non c’era niente che servisse: correvo in banca e creavo una carta nuova, le raccontavo che andavo alla partita di calcetto e invece mi rintanavo da qualche parte a giocare. L’azzardo era diventato la mia amante, la mia droga: mi dava un’adrenalina incredibile e un crollo subito dopo, da cui potevo risollevarmi solo ricominciando a giocare. Quando oggi sento la gente dare del coglione al calciatore Nicolò Fagioli per aver scommesso una cifra tre volte superiore al suo stipendio, mi viene da urlare: “Non è un coglione, è un ragazzo che sta male”. Il gioco crea dipendenza – spiega Vassallo – esattamente come l’alcol, come la cocaina, come certe relazioni tossiche. Da soli non se ne esce. Bisogna farsi aiutare da persone competenti”.
A questa consapevolezza Alessio è arrivato quando i genitori, papà ex commercialista in pensione e mamma casalinga, hanno avuto qualche problema economico: “Mancavano i soldi per fare la spesa e io di notte buttavo via anche 3 mila euro. Troppa la vergogna. Ho detto basta e ho contattato una psicologa”.
Oggi, dopo anni di terapia dice con orgoglio: “Io non gioco più. Non solo con l’azzardo. Non gioco più con niente. Non con il lavoro, che per anni ho vissuto come un’avventura divertente e che ora invece prendo con un misto di serietà e serenità: sono grato per quanto realizzato finora e, se tutto dovesse finire domani, sarei comunque in pace. E non gioco neanche più con i sentimenti: l’ho fatto troppo a lungo, ferendo me stesso e altre persone. Ora ho smesso”.
La Redazione