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Sarah Viola: “Per la ludopatia non esistono trattamenti farmacologici precisi. Il craving è il nemico numero uno”

“Il problema di chi soffre di un disturbo da dipendenza non è soltanto il pensiero che si mostra costantemente polarizzato sull’oggetto del proprio bisogno ma è la necessità fisica che, poco a poco, si fa strada nel paziente. La necessità fisica dell’oggetto del quale abusa. Quando si parla di “craving” ci si riferisce, appunto, alle sensazioni di bisogno impellente, improvviso ed irrinunciabile che tutti i pazienti addicted riferiscono di provare. E proprio i pazienti rappresentano questa condizione morbosa quando dicono frasi come : “Non ce la faccio”; “Non riesco a farne a meno”; “E’ più forte di me”; “Vorrei smettere, ci provo anche, ma poi non riesco a resistere””. A scriverlo in una sua pubblicazione è Sarah Viola, medico psichiatra esperto in dipendenze, che a partire dallo scorso anno ha avviato una collaborazione con il Centro Studi As.tro.

“I pazienti provano una condizione di bisogno fisico dell’oggetto che, se assente, fa sì che il dipendente sperimenti sensazioni di sofferenza fisica che sono diverse a seconda dell’oggetto della dipendenza ma che, in ogni caso, inducono una notevole pena. Questo è il craving. Il nemico numero uno di chiunque voglia sconfiggere una dipendenza. Esistono – prosegue la Viola – per alcune forme di dipendenza, farmaci anti craving che cercano proprio di attenuare, mai azzerare, le percezioni psico fisiche del craving. Tipicamente esistono farmaci di questo tipo per l’alcolismo ed anche per alcune forme di tossicodipendenza. Gli ansiolitici comuni, le cosiddette benzodiazepine, possono essere considerate degli anticraving aspecifici in quanto, creando uno stato di rilassamento o addirittura di sedazione, portano ad una riduzione della sintomatologia legata alla pulsione dipendente. Per altre forme di addiction, quale è, per esempio, la ludopatia, non esistono trattamenti specifici e le stesse benzodiazepine risultano poco utili nel trattamento di questa forma di dipendenza per la quale, peraltro, il paziente stesso non pensa mai di dover ricorrere ad una farmacologizzazione del suo caso. In preda al craving qualsiasi paziente affetto da dipendenza diventa irriconoscibile, si trasfigura e altera completamente il proprio rapporto con il mondo reale. Chi gli sta accanto, improvvisamente, ha l’impressione di scomparire del tutto, di non esistere proprio e, soprattutto, di non avere alcuna reale importanza se paragonato al bisogno che il paziente ha dell’oggetto della sua dipendenza. Per questo si dice che il partner di un soggetto portatore di dipendenza è come se avesse costantemente un amante; c’è una parte del soggetto ammalato che non vive mai, del tutto, dentro un rapporto, dentro una relazione, neppure dentro un contesto professionale o lavorativo.

Quella parte del soggetto malato “amoreggia” sempre con la sua dipendenza. E’ a lei che dedica un posto, sempre privilegiato, nella sua testa, nella sua pancia, mentre il cuore viene azzerato, o quasi, e a nulla può valere qualsiasi forma di protesta possa arrivare dalla dimensione affettiva del paziente. E’ il craving ad inchiodare il soggetto dipendente al proprio oggetto di bisogno, è il craving ad azzerare, o quasi, qualsiasi forma di volontà positiva o costruttiva che potrebbe indurre il soggetto a volersi liberare della propria dipendenza. E’ ancora il craving a far sì che , in determinate situazioni, un soggetto dipendente possa anche pensare di fare e farsi del male, di rubare, di colpire pur di ottenere ciò di cui sente di “non poter fare a meno”. Ed è ancora il craving che, molto spesso, si trova alla base della tendenza, connaturata nel soggetto dipendente di mentire, di negare, di raccontare sempre altre “verità”, tendenza, questa, finalizzata a coprire e proteggere sempre la sua dipendenza. Contro il craving – conclude la psichiatra – non si può opporre alcun pensiero, il craving non ragiona, non confuta, non “pensa”. Contro il craving si può soltanto usare uno stop, uno stop che non ammette scuse, che non richiede spiegazioni, che oppone al “tutto” che richiede il craving il “nulla” terapeutico. Per liberarsi dal craving il soggetto dipendente deve attraversare quella dolorosa e faticosissima fase che è quella della “astinenza” . A seconda della dipendenza esperita dal soggetto i sintomi della astinenza sono i più diversi e bizzarri. In ogni caso soltanto alla fine del periodo dell’astinenza il soggetto potrà sperimentare, a volte dopo anni, in qualche caso, addirittura per la prima volta nella vita, la sensazione di essere davvero libero”.

La Redazione

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