I giudici del Consiglio di Stato hanno respinto il ricorso dei titolari di alcune società operanti nell’ambito del gioco e della gestione di apparecchi per la riforma o l’annullamento della sentenza del Tar Puglia che ha confermato l’adozione dell’interdittiva antimafia da parte della Prefettura di Lecce. Nella sentenza si legge: “Il Tar ha debitamente dato atto che l’Amministrazione non è incorsa nei vizi denunciati dai ricorrenti in primo grado, ed ha anzi esattamente e motivatamente apprezzato il complessivo quadro indiziario rinvenibile, da un lato, dalle vicende giudiziarie dei ricorrenti per fatti variamente riferibili a fenomeni di criminalità organizzata e di associazione mafiosa, pur non seguite dall’accertamento di reati a loro carico (comunque non necessari, a norma degli arti. 84 e ss, del codice antimafia, considerata la natura cautelare della misura preventiva in esame), nonché, d’altro lato, dalla mancata adozione delle richieste misure organizzative e gestionali volte a garantire una effettiva separazione gestionale dei due nuovi trust rispetto all’originaria proprietà. I ricorrenti, interessati da più provvedimenti giudiziari, con il sequestro preventivo delle società con conseguente nomina degli amministratori giudiziari e cessazione degli effetti della misura della straordinaria e temporanea gestione, nel giudizio incardinato avverso tale interdittiva,hanno ricordato che “al dichiarato scopo di salvaguardare le concessioni e autorizzazioni ottenute dalle predette società con le più grandi concessionarie di Stato e di preservare il know how acquisito, il personale e tutto l’indotto collegato, hanno deciso di spogliarsi di ogni carica (insieme ai loro familiari) all’interno delle citate società e di conferire le quote sociali in un trust gestito da un terzo soggetto ritenuto estraneo ai disponenti”.
Ma per i giudici “il predetto quadro – si legge ancora nella sentenza – è stato fatto oggetto di un’adeguata istruttoria della Prefettura, che ha consentito di individuare la sussistenza di plurimi e convergenti indizi di possibili infiltrazioni e condizionamenti che, in una sorta di ‘effetto domino’ derivante non solo dai rapporti familiari ma anche da quelli proprietari e gestionali, è stato non irragionevolmente ritenuto suscettibile di estensione a tutte le società facenti parte dei due trust, conseguendone l’immunità dell’appellata sentenza dai vizi sopra illustrati”.
La Redazione